Recensione "Le otto montagne" di Paolo Cognetti
- Alessia Masciocchi
- 19 giu 2023
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 1 ott 2024

TRAMA
“Le otto montagne" è un libro di Paolo Cognetti pubblicato nel 2016.
I genitori di Pietro si sono spostati dalle Dolomiti venete a Milano. Ogni tanto la loro routine Milanese si scontra, nelle giornate nitide con la vista di una montagna in lontananza.
Dopo essere rimasti chiusi per tanto tempo nel mondo cittadino, decidono di puntare verso ovest alla ricerca di montagne, in Valle d'Aosta, senza un alloggio fisso. Dopo parecchi viaggi la madre di Pietro decide di prendere una casa e lo fa nel paese di Grana. Tutto sembra scontroso lì, ma Pietro inizia ad andare all’aria aperta, a godersi la montagna con gli occhi di un bambino. Incontra un altro bambino, Bruno, che si occupa di portare le mucche al pascolo per conto di suo zio. All’inizio non si parlano, ma la madre di Pietro fa da intermediario perché i due si conoscano.
Si scopre che si stanno osservando a vicenda e da lì iniziano a esplorare insieme la montagna, Bruno inizierà a chiamare Pietro “Berio”, in dialetto valligiano. Pietro inizia a fare le prime camminate con il padre e scopre di soffrire di “mal di montagna” ma non glielo vuole dire perché ha paura di un possibile rimprovero.
Un giorno Pietro e il padre vanno a trovare Bruno e suo zio all’alpeggio, un posto fatiscente, e il padre propone di portare i due amici sul ghiacciaio. Salendo Pietro sta sempre peggio, fino ad arrivare a vomitare nel momento in cui avrebbe dovuto saltare un crepaccio. Il padre comprende cosa sta succedendo e decide di scendere velocemente di quota. Nelle future salite alpinistiche che faranno insieme, Pietro non mangerà mai nulla per “tenere a bada” il suo star male.
Le stagioni si alternano tra inverni tristi passati a Milano ed estati avventurose passate con Bruno. La madre di Pietro scopre i problemi scolastici di Bruno e dapprima propone alla tacente madre di Bruno di farlo studiare assieme a Pietro, poi, vista la situazione che non permette a Bruno di procedere bene negli studi, lo invita a vivere a Milano gli anni delle superiori. A questo punto entra in gioco il personaggio del padre di Bruno: si presenta nella casa di montagna di Pietro e tira un pugno a suo padre.
Da qui Bruno sparisce e inizia a lavorare come manuale da suo padre. I due si rincontreranno nella tarda adolescenza, frequentando un bar di fondovalle e si scambieranno solo un cenno.
Pietro inizia a far conoscenza con i giovani di fondovalle, provenienti da grandi città e molto più ricchi di lui. Imparerà l’arte dell’arrampicata ma si stancherà presto di loro e si allontanerà.
L’amicizia più potente che stringe rimane quella con Bruno che si presenta da lui dal nulla e lo invita ad andare in montagna. Compiuti i diciassette anni, Pietro torna una sola volta a Grana e per pochi giorni, per poi non tornare più, se non dopo la morte del padre, ovvero quando Pietro ha 31 anni. Avrà in mano una mappa catastale con ciò che gli ha lasciato il padre: da qui la vita di Pietro e di Bruno non sarà più la stessa.
Non continuo a riassumere perché è proprio la morte del padre che dà il via alla storia, che fa prendere vita ai personaggi, ed è bello leggerla da Cognetti stesso.
ASPETTO STILISTICO
Un Paolo Cognetti maturo, con un linguaggio ricco nel racconto e diretto nella parte dialogica, con una padronanza dei termini utilizzati dai montagnini valdostani.
Cognetti sa come trasmetterci le sensazioni della montagna: partendo dai sensi come la vista di un ghiacciaio o il rombo di una valanga; arrivando alle sensazioni fisiche del “mal di montagna”, del poco fiato e del poco allenamento.
ASPETTO CONTENUTISTICO
Ogni personaggio ha delle caratteristiche che lo legano alla montagna, ma tutti la vivono in modo diverso. Il padre di Pietro è un conquistatore di vette, la madre preferisce i boschi. Pietro ama i prati al di sopra della zona boschiva: “Ognuno ha un’altitudine in cui si sente bene”. Ma è anche questione di attitudine verso la montagna, come nel caso di Bruno e di sua madre.
Le montagne, non solo valdostane, sono il punto fisso di tutto il racconto, in un modo o nell’altro si presentano al lettore in tutte le loro sfumature.
RIFLESSIONI PERSONALI
Ci sono molti punti del libro in cui mi ritrovo: dal tenere un passo rapido senza pause al camminare in testa; qualcuno che mi mostra i Quattromila del Rosa (e io che, al contrario di Pietro, continuo a confonderli o dimenticarli).
Personalmente non saprei rispondere alla domanda: “Meglio la Montagna che sta al centro o quelle che la circondano?” come stile di vita: ovviamente ho un posto del cuore, ma mi sono sempre sentita a mio agio anche a esplorarne di nuovi perché la mia curiosità batte ogni zona di conforto.
Aggiungerei che, da brava bookworm che sono, non ho visto il film prima di leggere il libro e prima di farlo (se mai lo farò!) vorrei trovarmi sulle nevi perenni del Rosa. Perché il Rosa è la montagna del cuore, quella dove ho imparato veramente a sciare, quella dove sono sempre tornata e tornerò sempre.
Ovviamente il mio primo approccio sulle mie gambe in montagna è stato sugli sci, quindi non potevo che citare il periodo dell’asilo, dove i miei genitori prendevano in affitto una baita per la stagione invernale, anche se le prime discese le feci a Madonna di Campiglio (e ho ancora dei ricordi piuttosto lucidi).
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